Pascal MICHON, Rythmes, pouvoir, mondialisation

Franco Crespi
Article publié le 14 novembre 2010
Pour citer cet article : Franco Crespi , « Pascal MICHON, Rythmes, pouvoir, mondialisation  », Rhuthmos, 14 novembre 2010 [en ligne]. https://www.rhuthmos.eu/spip.php?article228

Franco CRESPI – Rassegna Italiana di Sociologia, 2005/3, p. 553-557.


Pascal Michon, Rythmes, pouvoir, globalisation, Paris, PUF, 2005, 467 p.


Pascal Michon è uno studioso che, a partire da una solida formazione storica e filosofica, è andato progressivamente interessandosi sempre più ai fenomeni sociali. Il suo intento, nell’ampio e denso lavoro qui presentato, è di elaborare categorie concettuali adeguate a interpretare il carattere fluido del mondo nel quale viviamo. Rispetto alle profonde trasformazioni in corso, i modelli teorici che hanno prevalso nella teoria sociologica a partire dalla seconda metà del secolo scorso (teoria sistemica, strutturalismo, individualismo metodologico), appaiono a Michon ormai inadeguati. Inoltre egli rivolge anche una critica alle teorie di rete che sono andate affermandosi negli ultimi anni e che, a suo avviso, pur presentando aspetti validi, tendono a oscillare tra un eccessivo ottimismo riguardo agli effetti liberatori dei processi reticolari derivanti dai nuovi mezzi di comunicazione e la denuncia pessimistica di un mondo reticolare totalmente tecnicizzato, disumanizzato ed esposto al rischio di nuove forme di tipo totalitario.


Per interpretare in modo più adeguato la complessità delle componenti che trova oggi espressione nell’immagine della progressiva fluidificazione dei processi economici, sociali e politici, fluidificazione che non significa in alcun modo la scomparsa di nuclei di rigidità e di nuove più sottili forme di controllo, la tesi di Michon è che sia necessario riprendere la nozione di ritmo, alla quale, nella prima metà del secolo scorso, a cominciare dal Durkheim delle Forme elementari della vita religiosa, numerosi antropologi sociali, sociologi, psicologi e linguisti avevano attribuito una grande rilevanza. In quanto strumento teorico per interpretare sia le nuove forme di individuazione psichica (costituzione delle personalità soggettive dei singoli individui) e collettiva (gruppi, popoli, nazioni, società) presenti nelle dinamiche attuali, sia il ruolo effettivo svolto dalle nuove dimensioni di potere e di controllo operanti nella riorganizzazione imperiale della globalizzazione, la nozione di ritmo ha anzitutto il vantaggio di non attribuire alle dimensioni presenti in tali dinamiche il carattere di entità statiche, come nel caso dello strutturalismo, né quasi statiche, come nel caso delle teorie sistemiche. Non vi sono esseri psichici o collettivi fissi, poteri sempre identici a se stessi, ma tutto è in costante movimento, e, tuttavia, tale movimento non è erratico, bensì è sempre organizzato in forme temporali. In secondo luogo, la nozione di ritmo permette di evitare l’idea di ciclicità : i ritmi, in quanto forme del movimento di individuazione, sono ontologicamente indipendenti dai cicli naturali, cosmici o biologici, ovvero non sono necessari-naturali, bensì storici e dipendono, in ultima analisi, dal nostro agire.


Rispetto all’idea di tipo platonico di ritmo come ritorno periodico di tempi forti e di tempi deboli come nei versi e nella musica, di ritmo come ripetizione e scansione, Michon preferisce infatti il concetto pre-platonico di ritmo messo in evidenza da Benveniste, ovvero del ritmo come “maniera particolare di fluire”, forma-istante, forma momentanea assunta da un elemento fluido (p.428). Questa versione permette di inglobare nella stessa categoria intellettuale sia ciò che chiamiamo abitualmente ritmo (alternanza di tempi forti e deboli), sia le forme di movimento che sfuggono a tale definizione, come, ad esempio, la forma di movimento del significante nel discorso. In tal modo, viene mantenuta, contro la forma destoricizzante del ritmo metrico, la specificità dei processi di trasformazione propria della sfera umana, evitando altresì di ricadere nel modello platonico autoritario che pensa la città giusta come città organizzata e ordinata secondo l’armonia dei numeri e il ritorno del medesimo.


Michon (nel quale per più di un aspetto è evidente l’influenza di Michel Foucault) considera la nozione di ritmo come utile a cogliere i quattro principali livelli di organizzazione dei processi di individuazione, che peraltro sono intimamente connessi tra loro : le alternanze della socialità, le oscillazioni della psiche, la mobilità dei corpi e l’organizzazione del discorso. Le interazioni tra tali modalità diverse restano da verificare, di volta in volta, a seconda dei diversi contesti storico-sociali, prendendo in considerazione, oltre alla dimensione psichica, i particolari ritmi morfologici assunti nella vita familiare e nei rapporti interpersonali, nel lavoro, nelle manifestazioni rituali della socialità, nel controllo della sessualità, nelle forme del linguaggio e via dicendo.


Michon perviene ad articolare il suo concetto operativo di ritmo, che qui ho potuto presentare solo in maniera molto schematica, dedicando la maggior parte del suo lavoro a una dettagliata e densa analisi degli autori che, nel periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, hanno maggiormente rivolto la loro attenzione alla dimensione del ritmo. Egli ritiene infatti che non sia casuale il fatto che, proprio in quell’epoca di grandi trasformazioni e di aumento della fluidità, il problema del ritmo sia emerso con tanta insistenza, mentre nella seconda metà del Novecento, con l’assetto più rigido assunto dal sistema fondato sui due blocchi contrapposti del capitalismo e del comunismo, il tema del ritmo sia scomparso per lasciare il posto ai modelli dello strutturalismo e della teoria sistemica funzionalista. L’epoca attuale presenta, secondo Michon, non poche analogie con le condizioni della prima rivoluzione tecnologica e industriale e della prima mondializzazione, il che spiega la ripresa, negli ultimi anni, di studi dedicati al ritmo.


Gli autori sottoposti a esame critico da Michon sono, in primo luogo, alcuni noti autori durkheimiani che hanno studiato i ritmi morfologici delle società arcaiche ed antiche, sottolineando l’alternanza di momenti di intensificazione e concentrazione della vita sociale e momenti di dispersione della stessa : Marcel Mauss, che, nella sua vasta opera sulla società eskimese, ha inteso dimostrare la veracità delle tesi di Durkheim sul carattere determinante dei ritmi rituali per la religione, ampliando successivamente la sua analisi dei ritmi sociali nel Saggio sul dono ; E. Evans-Pritchard, la cui ricerca sui Nuer ha raggiunto risultati simili a quelli di Mauss, in particolare per quanto si riferisce al rapporto tra ritmi ed esercizio del potere ; M. Granet che, nella sua analisi delle forme politiche dell’antica società cinese, ha mostrato come il potere reale sia venuto stabilendosi attraverso una differenziazione e un’istituzionalizzazione del funzionamento ritmico immanente alle precedenti forme di società polisegmentarie.


L’attenta analisi di Michon prosegue prendendo successivamente in considerazione autori che hanno studiato i processi di ritmizzazione e deritmizzazione nella società moderna : da Gabriel Tarde, Le Bon, Simmel, Freud, Kracauer a Benjamin e agli autori che hanno sottolineato la funzione del ritmo nella propaganda delle società di massa come Tchakhotine, nei regimi nazisti come Victor Klemperer o nell’Unione Sovietica come Ossip Mandelstam. In questi ultimi autori emergono con particolare evidenza i meccanismi di ritmizzazione delle masse influenzati dalle penetrazione della tecnica nella vita moderna sia attraverso le nuove forme di riunione (feste nazionali, esposizioni universali, comizi politici, elezioni ecc.), sia attraverso l’importanza che nei regimi totalitari assumono gli esercizi ginnici e le parate militari. Nelle società democratiche invece, come ha in particolare rilevato Kracauer, l’influenza tecnicizzante rispetto alla dimensione corporale ha trovato soprattutto espressione, oltre che nel lavoro, anche nella diffusione del jazz e di altre forme musicali così come nei nuovi ritmi della danza.


Ovviamente non posso qui che accennare ad alcuni degli spunti che emergono dall’originale e approfondita lettura critica di Michon, che, oltre a fornire una ricchissima e puntuale documentazione sulle diverse tematiche riguardanti il ritmo, ha anche il pregio di riproporre all’attenzione alcuni testi poco frequentati dai sociologi negli ultimi anni.


Il capitolo conclusivo pone soprattutto l’accento sulla “crisi di aritmia morfologica” che caratterizza le società democratiche attuali. Se esse non riusciranno a contrastare l’attuale tendenza della logica di mercato e delle reti di comunicazione a imporre una fluidità assoluta, che nasconde peraltro nuovi meccanismi di controllo e di dominio, vi è il rischio che l’indebolimento dell’individuazione psichica e collettiva si aggravi maggiormente e che per farvi fronte si ricorra nuovamente “a soluzioni di tipo autoritario o a pratiche aggressive e gerarchizzanti”. Da questo punto di vista, Michon osserva che l’attuale situazione della società americana appare come la più inquietante, in quanto già orientata “a uscire dalla sua astenia ritmica attraverso una rappresentazione binaria del mondo (“conflitto di civiltà”, lotta dell’Impero del bene contro l’Asse del male”)” (p. 458).


Lo sforzo effettuato dall’autore costituisce un’ottima propedeutica alla vigorosa ripresa, da lui auspicata, della nozione di ritmo nello studio delle dinamiche sociali. Alla fine del suo lavoro, egli stesso appare tuttavia ben consapevole che si rendono necessari ulteriori passi per dimostrare l’efficacia operativa di tale nozione.


L’interrogativo maggiore che, a mio avviso, pone l’utilizzo della nozione di ritmo è costituito dall’effettiva capacità di tale nozione non semplicemente a descrivere, ma a interpretare-comprendere i processi sociali. Se la nozione di ritmo, come mostra Michon, ha indubbiamente il vantaggio di rispettare la temporalità e il movimento costante delle forme sociali, stabilendo i nessi tra le forme di individuazione psichica e collettiva, i corpi, i linguaggi, i poteri, si ha talvolta l’impressione che essa fatichi a uscire dal suo ruolo di metafora suggestiva per costituirsi come categoria interpretativa in senso forte ed esaustivo. La valutazione sulla presenza o sull’assenza di ritmi nelle situazioni politico-sociali concrete sembra spesso dipendere in modo decisivo dai criteri selettivi dell’osservatore. Per provare la sua reale portata e la sua specificità, il concetto di ritmo dovrebbe forse confrontarsi (o integrarsi ?), con una teoria dell’agire sociale che, all’interno dei processi di costruzione della realtà sociale, sia in grado di cogliere le ragioni profonde dell’ambivalenza e della precarietà del rapporto tra agire sociale e forme di determinazione, dell’oscillazione tra l’assolutizzazione di queste ultime e la loro eccessiva relativizzazione.

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