Ringraziamo Michele Bertolini per averci permesso di riprodurre il suo testo. Esso è sato pubblicato per la prima volta nella rivista De Musica, V, 2001.
Introduzione
Nell’opera di Raymond Bayer (1898-1959), uno dei protagonisti dell’estetica francese di ispirazione realistico-formale e cofondatore insieme a Lalo e Souriau della Revue d’esthétique nel 1948, la riflessione specifica sulla musica e sul sentimento estetico della natura occupa un posto importante ma certamente non esclusivo accanto alle altre arti. L’indagine sull’arte musicale in Bayer si sviluppa, infatti, all’interno di un’estetica che vuole presentarsi come una scienza qualitativa, capace di rendere conto dell’intera complessità dell’esperienza estetica, una complessità che coinvolge sia le manovre operative dell’artista creatore sia la realtà stratificata dell’oggetto-opera d’arte sia infine le modalità ricettive dello spettatore coinvolto nel processo di contemplazione estetica [1].
Il clima culturale in cui matura la riflessione estetica di Bayer vede, a partire dagli anni Venti, una crescita costante di attenzione nei confronti della realtà formale dell’oggetto estetico, un movimento generale di ritorno all’oggettività della forma sensibile che coinvolge personalità eterogenee della cultura francese ; questa tendenza si sviluppa in un generale ambiente filosofico in cui sono ancora vitali le diverse correnti del positivismo, dello spiritualismo e del bergsonismo.
Storici dell’arte come Focillon (che fu maestro di Bayer alla Sorbona), filosofi di formazione come Souriau o Bayer, sociologi (Lalo) o psicologi (Henry Delacroix), si interrogano, in modo spesso indipendente e senza costituire una organica corrente di pensiero, intorno alla struttura costitutiva delle diverse forme artistiche.
Il problema dello statuto di « realtà » dell’opera d’arte, base metodologica su cui costruire un’estetica che pretende di essere « scientifica », accomuna quindi quegli autori (Focillon, Souriau, Bayer) che già nel 1936 Victor Feldman aveva riunito nella corrente da lui definita del « realismo razionalista » [2] ; alla preoccupazione cosale e « realista » per l’opera si accompagna il rigore di un’indagine analitica e « razionale » del fatto estetico tesa alla « rigorosa determinazione dell’oggetto estetico (assimilato all’opera d’arte) come forma » [3]. Questo secondo aspetto definisce anche l’obiettivo polemico di molte pagine di Souriau e Bayer, rappresentato dalle estetiche soggettive e del sentimento di ispirazione bergsoniana (in particolare di Basch o Ségond), incapaci di rendere conto sia della realtà stratificata dell’opera sia di un metodo di ricerca estetica che non si risolva nell’intuizione mistica di un Assoluto.
L’analisi delle pagine che Bayer dedica alla musica all’interno della sua prima opera, L’esthétique de la Grâce, con la quale ottenne il dottorato nel 1933, non può quindi non inserirsi nel contesto generale della sua riflessione estetica e dei suoi presupposti metodologici, orientato verso la definizione e descrizione della forma sensibile dell’opera d’arte. Come in Etienne Souriau, anche in Bayer l’estetica si presenta prima di tutto fin dai suoi primi lavori come una morfologia descrittiva di aspetti e qualità visibili presenti nell’opera d’arte, un’enumerazione empirica di datità tecnico-formali che configurano l’estetica stessa come una scienza qualitativa dotata di un metodo autonomo. In quanto sistematica delle strutture interne all’oggetto estetico, l’estetica si manifesta anche come una morfogenesi dinamica capace di spingersi al di là degli aspetti fenomenologicamente pecepibili (dei qualia sensibili per usare la felice espressione di Souriau) verso la ricostruzione dei regimi trans-tecnici ; i regimi rappresentano quelle manovre operative nascoste che hanno portato l’opera alla sua configurazione visibile e che si presentano come dei caratteri generali capaci di legare le arti fra loro in un generale sistema di corrispondenze.
L’opera d’arte si presenta come un sistema di equilibri dinamici e relazionali fra un insieme di esigenze o resistenze formali e materiali, e una totalità di risposte attraverso le quali si dispiega la libertà poietica del creatore. Da una parte l’aspetto, prodotto di un’azione creativa dell’artista e traducibile linguisticamente come qualità percepita, è ancora figlio di una specifica esigenza tecnica ; dall’altra parte, il regime permette di circoscrivere alcuni caratteri generali e trans-tecnici delle strutture oggettive dell’opera, consentendo di stabilire delle corrispondenze fra le varie arti nell’eterogeneità pura dei mezzi specifici.
La dinamicità dei regimi è particolarmente evidente nella determinazione di una categoria come la grazia, alla cui instabile e mobile natura è dedicata la riflessione del giovane Bayer : l’equilibrio dinamico che essa realizza è infatti il frutto di una dialettica interna fra i regimi del risparmio e i regimi dell’elasticità.
Il risparmio, ponendosi come condizione « negativa » della grazia, organizza l’economia delle resistenze tecnico-formali, e si manifesta nell’atomismo e nell’indeterminatezza parziale delle strutture oggettive, nel polimorfismo e nella sparizione della massa.
L’elasticità invece realizza « in positivo » le condizioni necessarie e sufficienti perché si manifesti quel carattere espressivo che chiamiamo grazia, attraverso l’organizzazione della forza e della libertà delle risposte e dei rendimenti insperati di fronte alle gerarchie precostituite, la reversibilità fra la norma e il miracolo, il controllo delle metamorfosi strutturali che nell’opera danno « l’illusione dei possibili sottraendosi al dato come presentimento del definitivo » [4].
La dialettica fra i diversi regimi che attraversano l’opera d’arte permette di delimitare l’ultimo livello della comprensione estetica dell’oggetto estetico, costituito dalla determinazione dei tipi di equilibrio : essi rappresentano la cristalizzazione schematica di un preciso stato d’equilibrio dell’opera al quale corrisponde la tradizionale classificazione storico-linguistica delle categorie dell’artistico.
Così il sublime, ad esempio, realizza un equilibrio di mancanza in cui la risposta alle esigenze formali e materiali è insufficiente, mentre il bello in quanto categoria statica si presenta come un equilibrio armonico fra poteri ed esigenze ; la grazia nella sua dinamicità costitutiva rappresenta una parabola dell’instabile che manifesta un equilibrio di sovrabbondanza dove « le esigenze, senza sosta superate, sono senza sosta avvolte dai possibili » [5] ; infine, al di sopra della grazia e al di sotto del sublime, si situa il regno del comico, equilibrio di inadattabilità segnato da una costante sproporzione fra i mezzi e i fini.
L’equilibrio di quel « blocco di scrittura » che è l’opera e sulla quale sono incise tutte le possibili intenzioni espressive, è sempre il prodotto di un duello fra le esigenze e le risposte, come nella morfologia di Focillon dialettica è la reciproca implicazione della vocazione formale della materia e della vocazione materiale della forma [6]. Il gioco degli aspetti all’origine di ogni categorizzazione estetica si organizza quindi secondo leggi di convergenza, base delle categorie pure già ricordate, o piuttosto leggi di concorrenza, dando forma alle categorie miste come il barocco che è sintesi di elementi graziosi e sublimi.
L’analisi degli aspetti, dei regimi e dei tipi di equilibrio che gioca nella prima opera di Bayer il ruolo di generale paradigma esplicativo dei diversi fenomeni artistici, ed è quindi virtualmente applicabile alle varie forme d’arte, rappresenta prima di tutto una fondamentale garanzia metodologica per un’estetica che si vuole scientifica, capace di muovere dalla visibilità data dell’oggetto estetico (contro il misticismo sentimentale di Basch o Ségond) verso la ricostruzione delle intenzioni espressive e costruttive dell’artista (assorbendo l’estetica in una poietica del gesto e dell’atto creativo) ; esso costituisce inoltre un modello unzionale capace di rendere conto degli specifici equilibri strutturali dell’opera d’arte.
Tuttavia la funzionalità interna ad esempio ai regimi della grazia, che rivela un’ascendenza tardo-positivistica nel rapporto fra costrizione tecnico-formale e risposta creativa ad essa adeguata, può essere pensata come un modello euristico adattabile ai diversi fenomeni artistici, vicino ancora una volta ai modelli di ricerca mobili tipici della morfologia di Focillon [7].
La dialettica degli aspetti e dei regimi interni all’opera è comunque irriducibile ad una meccanica di azioni e reazioni, ad una valutazione quantitativa di cause ed effetti proprio perché è da sempre finalizzata ad un effetto espressivo che è interno alle strutture dell’opera e dato insieme con queste.
Fino a questo momento infatti l’estetica di Bayer si è limitata a presentarsi come una fisiognomica esteriore di aspetti ed equilibri strutturali : al di sopra di questo primo livello di indagine tuttavia, si colloca quella scienza dei rapporti fra l’opera e il soggetto, fra gli equilibri strutturali e gli equilibri umani che fanno dell’estetica una ritmica generale. « Ritmo » è un termine che Bayer riprende dall’estetica fisiologica tedesca dell’Ottocento oltre che da una specifica e vitale tradizione francese di studi di fisiologia (Charles Henry), psicologia (Henry Delacroix) e sociologia (Jean Marie Guyau) : esso costituisce la vera chiave di volta della riflessione del nostro autore in quanto rappresenta, in un senso estremamente generale dotato di una forte pregnanza teorica e di una intrinseca polisemanticità, il termine medio fra le strutture della soggettività e quelle dell’oggettività, il luogo di intersezione fra io e cosa, fra mondo delle forme e mondo dello spirito.
Essenza di quel « teatro di relazioni » che è l’arte e polo unificatore dell’estetica, il ritmo apre il mondo dell’affettività soggettiva ad un’analisi articolata a partire dall’originaria trascendenza dell’oggetto estetico, dal suo essere una struttura in sé compiuta e distinta dalla soggettività.
Il ritmo è lo schermo posto fra la fluida emotività dell’io e la costrizione regolare dei canoni e delle misure dell’opera d’arte. « Avendo colto i ritmi al di fuori dello spirito coglieremo lo spirito con i suoi propri ritmi » [8] afferma Bayer, mostrando la reciproca inerenza del sensibile e dello spirituale, della vita e delle forme : questa reciproca correlazione è presente sia nelle strutture soggettive, dove il ritmo disciplina la fluida materia emotiva dell’io, sia nelle strutture oggettive, dove il ritmo organizza la materia da plasmare secondo formule spaziali e temporali.
Proprio in virtù di questa funzione schematica di mediazione, il ritmo, in Bayer come in Henry Delacroix [9], permette di cogliere l’intera esperienza estetica nella sua complessità circolare : grazie al ritmo l’artisticità dell’arte risulta collegata e inserita all’interno delle funzioni estetiche della soggettività, ed in particolare alle facoltà percettive ed immaginative del creatore e dello spettatore.
L’arte, indagata da un’estetica intesa sia come sistematica delle strutture che come ritmica generale, risulta essere in ultima istanza una struttura espressiva, il frutto pietrificato di un’attività schematica all’opera : per dirla con le parole dello stesso Bayer, essa si presenta come « la provincia più chiara del pensiero schematizzante » [10], come il prodotto di un occhio, un orecchio o una mano che seleziona e astrae alcune qualità dalla percezione per porle in atto nell’opera da compiere.
I caratteri generali dell’esperienza estetica qui brevemente esposti si ritrovano nella specifica trattazione della grazia musicale (cui Bayer dedica un lungo capitolo ne L’esthétique de la Grâce accanto alle altre arti [11]) e del sentimento estetico della natura dove la metodologia di Bayer (che potremmo definire per così dire un’ermeneutica fisiognomica e sensibile) ha modo di confrontarsi con la particolarità dell’arte e della pratica musicale.
1. Il ruolo del ritmo e della grazia nell’interpretazione estetica della musica e della natura.
La natura della grazia condivide con il ritmo un carattere duplice, equivoco, simbolico nel senso etimologico del termine : la grazia come il ritmo è sintesi di aspetti contrastanti, è insieme percepibile e intima. Il legame fra grazia e ritmo è inoltre riconosciuto da una specifica tradizione storica di studi francesi di fisiologia (nell’opera di Guyau la bellezza del corpo è data dal suo movimento, dal ritmo e dalla grazia) o di tecnica artistica (come in Guastalla dove danza e musica sono definite arti graziose e ritmiche) [12].
La grazia, già riconosciuta da Bergson come parabola dell’instabile, è una categoria di confine, lontana dalla perfezione sicura e statica del Bello : nel suo dinamismo essa gioca con i suoi aspetti secondo una dialettica aperta che oscilla fra l’Identico (le Même) e l’Altro (l’Autre) senza rinchiudersi in una sintesi definitiva e compiuta.
Essa non è solo la bellezza in movimento, ma è l’incontro paradossale di un risparmio, di un abbandono (in quanto l’antitesi dello sforzo è la condizione di possibilità della grazia) e di una rivelazione di potenza che sorprende e supera le nostre attese, secondo i principi di un’estetica della sovrabbondanza, del successo miracoloso, del rischio e dello slancio.
La grazia in virtù delle sue mezze tinte sfumate, sembra trascendere la materia da cui essa stessa dipende, « riesce ad ottenere ciò che non ci si aspettava », riuscendo a tenere unite in paradossale armonia le sue contraddizioni senza confonderle. Come è possibile ritrovare nella tradizione musicale dell’Occidente le strutture portanti della grazia ?
Nella sua analisi Bayer prende in considerazione in particolare il periodo storico costituito dalla musica barocca francese, il vero secolo della grazia nell’arte musicale come nelle arti figurative, ma coinvolge nelle sue esemplificazioni anche alcune manifestazioni della musica ottocentesca e del primo Ravel. Se questa scelta sembra guidata da una scelta storicista che riduce la categoria della grazia e le sue possibili manifestazioni musicali alla definizione storica che la critica d’arte ha dato di essa, tuttavia l’indagine di Bayer si rivela in realtà maggiormente attenta agli specifici aspetti strutturali delle opere nelle quali essa si rivela.
La grazia, infatti, prima ancora di essere la manifestazione espressiva di una esuberante facilità, è un gioco interno alle strutture dell’opera, un gioco fra i diversi aspetti e piani dell’opera capace di farli risuonare polifonicamente uno sull’altro producendo uno specifico e inconfondibile effetto espressivo [13]. La grazia musicale vive quindi nei singoli aspetti dell’opera come nella totalità delle sue strutture, è presente sia a livello microcosmico che macrocosmico. Se Bayer suddivide la sua trattazione della grazia musicale in tre sezioni (ritmo, melodia, armonia e timbro), questo criterio risponde prima di tutto ad una scelta di chiarezza espositiva, alla volontà di circoscrivere analiticamente tutte le diverse componenti del discorso musicale che concorrono a quell’effetto complessivo che chiamiamo grazia, effetto che è intrinsecamente polifonico [14].
Nel ritmo, ad esempio, la grazia si manifesta nella riduzione dei tempi forti, sia che essa venga perseguita attraverso l’indebolimento delle opposizioni nei ritmi ternari (gighe, passapieds e pastorali) sia che venga raggiunta grazie alla moltiplicazione dei ritorni che frantumano l’unità dell’accento nella vivacità dei movimenti binari (gavotte, bourrée e rigaudons).
Il ritmo ternario sembra così rispondere ad un’estetica del continuo capace di unire il legato alla sinuosità naturale del movimento ternario (così tipico della liquidità di molte barcarole), mentre la frammentazione delle note tenute, che sostituisce alla durata della nota la frequenza, realizza quell’aspetto di diminuzione per cui i valori lunghi si frantumano in una ripetizione continua.
La grazia si manifesta anche attraverso un costante ribaltamento fra la durata e l’accento per cui i valori lunghi si insediano nelle parti deboli della misura mentre i valori brevi nelle parti forti : lo squilibrio dei valori rovescia lo statico equilibrio della melodia nella grazie di un disequilibrio. Questo effetto si raggiunge attraverso diversi accorgimenti tecnici tra cui la sincope in cui il tempo forte si dissolve nel valore che si prolunga o gli arresti di bravura per cui la nota, invece di prendere tutto il suo valore sparisce prima dell’arrivo del tempo forte (il contrattempo come vuoto sul tempo forte) oppure vede accorciarsi il suo valore sul tempo forte (pizzicato, saltellato). Il trionfo della grazia ritmica è tuttavia rappresentato, a parere di Bayer, dalla disintegrazione dei ritmi attraverso la quale la frase melodica precede sistematicamente il ritmo della misura o è in costante ritardo rispetto ad essa, o ancora si presenta come estranea al movimento ritmico (ad esempio combinando gruppi melodici binari all’interno di una misura ternaria).
La disintegrazione ritmica si manifesta anche nei mutamenti di densità della melodia : essa infatti può accumulare la ricchezza delle sue note o al contrario giungere ad una rarefazione del numero delle stesse, in particolare nelle battute che precedono la conclusione di un movimento. Ovunque la grazia ritmica (come pure quella melodica o armonica) persegue una sistematica quanto capricciosa dissoluzione delle alleanze per cui l’interesse melodico, l’intensità ritmica e le durate dei valori si separano.
Da una parte, lo spostamento degli accenti melodici rispetto agli accenti ritmici (anticipi, ritardi) segna la dissoluzione dell’alleanza melodia-ritmo, l’assenza di coincidenza fra battiti ritmici e contorni melodici (con una conseguente e apparente libertà della melodia che « sembra ormai risuonare graziosamente per se stessa » [15]) ; dall’altra parte, la dissoluzione dell’alleanza accento-durata (appoggiature) produce uno spostamento dell’interesse su elementi accessori, un’inversione delle forze e dei valori, uno sparpagliamento degli accenti dissociati [16]. La grazia sembra quindi regnare e manifestare la sua potenza dividendo la forza ritmica, con un movimento centrifugo di dispersione che si oppone a qualsiasi convergenza in un unico punto dei diversi elementi che compongono l’opera musicale.
Una medesima sapienza tecnica e insieme espressiva governa anche le strutture melodiche della grazia dove il disegno della frase musicale oscilla fra la stabilità dei poli d’attrazione, nei quali la melodia trova il suo riposo, e l’incertezza dei tragitti o percorsi che la melodia percorre nella successione dei suoi intervalli.
La grazia si esprime qui nella ripetizione variata di un breve disegno melodico, o nel gioco di scambio fra note vicine (dove la melodia ondeggia fra due poli in modo equivoco e incerto), o ancora nei complessi movimenti che riportano la melodia alla nota di partenza. Fra questi ultimi, ritroviamo la melodia-ghirlanda che ritorna alla nota di partenza con un movimento inverso che bilancia e « compensa » il percorso di allontanamento ; le evoluzioni ondeggianti che tendono a raggiungere i poli di tonica o dominante oscillando attorno ad essi (melodia-rinceau) ; infine le evoluzioni serpentine dove la « linea di grazia » [17] si manifesta nella rotazione persistente intorno ad un grado fisso al quale la melodia ritorna incessantemente per poi allontanarsi. La melodia graziosa nella sua caratteristica linearità realizza una complessa estetica dell’ornamento (broderie), vera e proprio consacrazione formalizzata in topos retorico delle diverse figure della grazia che la tradizione musicale ci consegna sotto i nomi di abbellimenti. La melodia graziosa, che si attarda senza concludere, vive di un dualismo costitutivo : da una parte, in quanto statica ornamentale, essa è quasi forma senza movimento, abbondanza gratuita di abbellimenti, dall’altra parte, in quanto dinamica del salto, essa ritrova i suoi slanci e movimenti perduti attraverso progressioni per gradi disgiunti, improvvisi movimenti di fuga che interrompono la staticità della forma ornamentale.
La mobilità dinamica della melodia graziosa vive di una sapiente alternanza di rapidi movimenti cromatici e di punti d’appoggio momentanei, così come della concatenazione di serie di note congiunte e serie disgiunte che permettono alla melodia di rompere « l’unità del suo movimento proprio grazie alla successione di piccole cadute » [18] (melodia-cascata).
Come il ritmo di grazia produce uno sparpagliamento delle forze ritmiche in gioco, così la melodia graziosa realizza (e questo è il suo carattere decisivo) una frammentazione dei temi, una vera e propria apologia del frammento melodico che trova nell’opera di Campra, Lully o Rameau (ma anche Gluck o Mozart) degli esempi significativi. Questo suo effetto è sempre il prodotto di due aspetti sovrapposti e reciprocamente inversi : da una parte, la melodia cerca l’inedito anche nella ripetizione, mossa da una facoltà interna di rinnovamento e rigenerazione del canto e delle forme (la variazione nell’identità, che Bayer nomina flessione) ; dall’altra parte, essa ritrova la ripetizione anche nell’inedito, per cui l’attesa per analogia di un contorno melodico simile al motivo di base porta con sé la soddisfazione inaspettata della struttura melodica riconquistata attraverso le confluenze e i ritorni (l’identico nell’altro, che Bayer denomina interferenza).
Ne deriva una complessa fenomenologia legata al rinnovamento delle forme melodiche, armoniche e ritmiche che spinge un compositore come Fauré « a rifare una melodia senza ripeterla » [19], a produrre delle forme-riflesso sottilmente (e spesso nascostamente) imparentate con le forme-madri da cui derivano.
La grazia, che nella linearità della melodia trova un luogo privilegiato di applicazione, vive anche negli aspetti più marcatamente architettonici del timbro, dell’orchestrazione e dell’armonia, in apparenza meno riconducibili ad un’estetica della leggerezza e dell’elasticità graziosa.
La riduzione del volume del suono e della massa orchestrale realizza un primo momento puramente negativo della grazia a cui si lega la grazia specifica di alcuni timbri strumentali graziosi come il flauto, l’arpa o il liuto. La prevalenza della scrittura orizzontale e della monodia (come nelle serenate o nelle semplici monodie accompagnate), inoltre, oppure la rottura dei sincronismi realizzata attraverso gli accordi arpeggiati che sciolgono la simultaneità della massa accordale nel movimento di un arpeggio rappresentano un ulteriore effetto di grazia basato sull’evizione della massa [20].
Tuttavia, anche la scrittura polifonica può raggiungere uno specifico effetto grazioso, laddove, come nella polifonia vocale del Rinascimento, l’indipendenza delle diverse parti rovescia la massa polifonica in un gioco di melodie sovrapposte e di strutture atomiche. La grazia dell’armonia si rivela nell’arte delle modulazioni come una notevole facilità a modulare ai toni vicini, come un’incessante mobilità che conserva la chiarezza della tonalità ma senza la permanenza (ad esempio in molto passi di Rameau [21]) oppure come un gioco delle attese frustrate, in cui si afferma un gusto dell’accidentale, del nomadismo, della finzione voluta, tipico dell’arte di Ravel, Fauré o Roussel.
Il gioco incerto delle modulazioni continue, dei cromatismi fini a se stessi che « oltrepassano le necessità della modulazione » [22] arricchiscono (o meglio colorano) ogni tonalità dei possibili riflessi virtuali delle altre tonalità, dissolvendo la chiarezza tonale nel caleidoscopio di infinite modulazioni possibili, di minime variazioni armoniche sempre in imminenza di accadere.
Come la melodia di grazia gioca con le sue possibili forme riflesse di un’unica forma madre, così anche l’armonia elabora una sorta di implicita teoria dei riflessi armonici, in cui « noi vediamo poco a poco, per parlare il linguaggio dei pittori, dissolversi il tono locale » [23] a favore dei giochi fuggitivi delle continue modulazioni.
A questo contribuisce la costante riduzione dei valori tonali attraverso l’indebolimento delle funzioni di tonica e dominante [24], funzioni che vengono de-caratterizzate in quanto trasportate sui tempi deboli, o ridotte ad appoggio accessorio e private della loro durata, o infine poste in concorrenza con i gradi deboli della scala, con una caratteristica ambiguità e oscillazione fra modalità e tonalità. Le modulazioni per intervalli di terza, inoltre, attraverso cui, nelle diverse combinazioni possibili, i valori tonalmente forti (primo, quarto e quinto grado) diventano deboli, realizzano quel rovesciamento dei valori che abbiamo visto essere un tratto distintivo della grazia.
Tali modulazioni, tuttavia, possono essere generatrici di un effetto di grazia solo se il contrasto prodotto dalla modulazione per terza viene « mediato » da una sapiente scienza dei legami che permetta di comparare l’antica e la nuova tonalità in virtù di una similitudine del contorno melodico o della struttura armonica. Infatti, « il rovesciamento dei valori tonali non ci procura altro che una grazia possibile, virtuale : occorre altro perché essa si costituisca » [25] ; a questo proposito, Bayer propone il confronto fra due celebri modulazioni per terza di opposto effetto espressivo, tratte entrambe dal repertorio delle sinfonie di Beethoven, che assumono il ruolo di esempi pregnanti.
Nella prima, la celebre modulazione da la b maggiore a do maggiore che unisce il terzo con l’ultimo movimento della V sinfonia, ogni elemento, dalla timbrica al ritmo all’armonia, produce un effetto violento e inatteso di movimento e di sorpresa, ma non certo di grazia ; al contrario, in alcune modulazioni per terza dell’Adagio della IX sinfonia, la sorpresa prodotta dalla modulazione viene compensata e attutita dai legami enarmonici che assicurano il passaggio dall’una all’altra tonalità in modo soffuso, oltre che dall’efficacia del disegno melodico e dalla leggerezza dell’orchestrazione [26].
All’organizzazione della sorpresa, che contraddistingue il carattere accidentale e aleatorio della grazia, si accompagna quindi l’organizzazione dei legami armonici, che assicurano i passaggi tonali grazie all’uso di espedienti tecnico-formali quali le sfumature, gli scivolamenti cromatici, le anticipazioni o i ritardi nell’apparizione della nuova tonalità, le integrazioni melodiche, o le tonalità-atmosfera che svolgono il ruolo di medium armonici [27].
La grazia dell’armonia conduce quindi la tonalità verso una de-caratterizzazione delle sicurezze tonali, afferma il trionfo di un’estetica dell’equivoco e dell’evasione che trova nella Pavane pour une Infante défunte di Ravel un affascinante esempio di ambiguità e incertezza armonica, nella quale si afferma una sub-tonalità, una « tonalità ricca di sottintesi » [28] opaca e neutra e dove sembra concludersi il percorso storico e formale della grazia.
Nei suoi caratteri generali la grazia musicale, che la complessa ricerca topologica di Bayer si è proposta di ordinare e classificare secondo esempi significativi, sembra rappresentare quasi il trionfo del carattere di « magica dissimulazione » proprio dell’attività artistica, capace di trasfigurare la realtà nella surrealtà visionaria dell’opera aperta alla continua e mobile azione interpretativa dello spettatore. Proprio questa apertura, questo scarto di senso, per cui la grazia è stata spesso presentata storicamente come un non so che, un supplemento rispetto alla bellezza capace di circondarla di un alone di luminosità e splendore [29], non permettono di rinchiudere la sua definizione, a parere di Bayer, in una formula conclusiva, nella rigidità di un effetto prodotto in modo deterministico da cause statisticamente quantificabili. La grazia dei ritmi, che vediamo agire nella frammentazione e nella disgregazione centrifuga delle strutture, nella dissoluzione delle alleanze e nel rovesciamento delle attese, come nell’inversione del rapporto struttura-ornamento [30], non consiste semplicemente nella sintesi chiusa della libertà melodica e della costrizione della battuta, ma nella dissimulazione di questa stessa sintesi, capace di suscitare un sentimento di stupore e meraviglia costantemente rinnovato. La grazia, a partire da Bayer, può assumere una sua autonomia estetica laddove la si consideri non come una variante derivata della bellezza o come la manifestazione sensibile di una condizione morale (e quindi un simbolo del bene), ma piuttosto come il libero gioco della forma artistica che nella sua gratuità « permette » l’apertura stessa dell’esperienza estetica e del piacere ad essa connessa, senza bisogno di rinviare a qualcosa d’altro rispetto al suo carattere ludico e disinteressato di dono e ornamento. La grazia musicale, « di più » della bellezza e quasi eccedente rispetto ad essa, sembra affermare una sorta di gioioso nihilismo assiologico nell’indifferenza dei suoi equilibri, nel suo essere un ornamento che si fa struttura : in questo suo carattere sembra avvicinarsi al concetto kantiano di « bellezza libera », irriducibile ad un ambito di significazione extra-estetica che non sia quella della libera donazione del senso, dell’aprirsi dell’orizzonte stesso del senso del reale estetico che coincide con l’ambiguo ambito del piacere estetico.
Offerta alla sfera complessa del piacere è anche per Bayer l’esperienza del mondo naturale indagato esteticamente : infatti, se la musica libera la grazia dei suoi ritmi mascherando i suoi principi compositivi, la natura stessa rivela ritmi di grazia singolarmente affini all’arte musicale stessa. La contemplazione estetica della natura, cui Bayer dedica poche ma affascinanti pagine [31], nasce dalla considerazione della natura come modello e opera dotata di una struttura interna e una finalità autonoma, con un nuovo richiamo alle riflessioni kantiane, trasportate in un orizzonte decisamente « oggettivista ». Sotto quest’aspetto, la natura come la musica presenta delle costanti organizzazioni ritmiche che si esprimono nei simboli naturali della grazia : il paesaggio bucolico, il giardino, la rosa, il cigno, la rondine, l’acqua.
In quanto simboli e non allegorie morali, essi costituiscono le figure ritmiche di un oggetto del mondo : ad esempio, l’uccello, anima disincarnata, forma quasi priva di materia, è grazioso nella dinamica del volo come nella natura ritmica del canto, un canto che ripercorre i ritmi musicali della grazia (scomposizione dei valori tenuti in battiti rapidi, estetica del trillo, spostamento dell’accento sui tempi deboli, grazia del cromatismo [32]), avvicinandosi al carattere di una melodia ornamentale.
Il cigno realizza e porta a compimento l’estetica del continuo nel suo rapporto con l’acqua da cui è circondato, attraverso il duplice ritmo dell’acqua che scorre attorno a lui e del suo scorrere nell’acqua, così come la rondine, portatrice di una grazia secolare, evoca « la vibrante e doppia immagine dell’istantaneo e della riduzione » [33] nell’immediatezza del grido e nell’impalpabile inconsistenza del suo corpo. Infine, l’acqua trova nell’immagine della cascata il trionfo della sua grazia musicale : la continuità dello scorrere dell’acqua è infatti ritmata da alcuni istanti decisivi, come la ripresa della corrente dopo l’ostacolo, il punto di ritardo prima di esso, lo slancio fra due ostacoli o l’evento del salto che sembrano raffigurare metaforicamente il carattere discontinuo e discreto dei ritmi musicali [34].
Nonostante il fascino indubbio di queste pagine, possiamo riscontrare un limite evidente nelle conclusioni cui giunge Bayer : egli non sembra interessato a costruire un’autonoma filosofia estetica della natura (come cercherà di fare Dufrenne), né ad indagare in profondità un possibile legame originario fra musica e natura. I fenomeni naturali, in conclusione, appaiono portatori di una grazia musicale nella misura in cui instaurano delle assonanze con le figure ritmiche delle arti, per cui « l’esteticità » della natura è funzione della sua potenziale o virtuale « artisticità » [35].
Se la natura rivela la sua bellezza e grazia nell’astrazione dei ritmi di cui è portatrice, il sentimento estetico puro ex parte subjecti organizza la percezione dei ritmi soggettivi di fronte ad un oggetto (naturale o artistico), circoscrivendo una specifica modalità estetica irriducibile ai timbri anestetici, al piano psicologico degli umori e dei sapori dell’emozione indagati dai vari teorici dell’Einfühlung. La « purezza » di questo kantiano sentimento estetico della natura sembra quindi far dimenticare a Bayer la ricchezza espressiva e simbolica (mitica e archetipica) di una considerazione estetica della natura e del suo sotterraneo e originario legame con l’esperienza musicale, legame che è possibile instaurare proprio a partire da una nozione complessa e polisemantica come quella di ritmo, attorno al quale si sviluppa il suo « sistema » di estetica.
Proprio la riflessione sul ritmo, cui abbiamo accennato come chiave di volta di tutta l’estetica di Bayer, permette di formulare alcune brevi considerazioni conclusive sul rapporto fra il carattere temporale del ritmo e la nozione bergsoniana di durée, nei confronti della quale l’estetica realista e formalista francese ha sviluppato a partire dagli anni ’30 una critica serrata e tuttavia non esente da feconde assimilazioni (soprattutto con H. Delacroix, Bachelard, Souriau, e in campo musicologico con G. Brelet [36]).
2. L’estetica del ritmo nel suo rapporto con la durata bergsoniana.
La complessa critica all’estetica di Bergson, particolarmente evidente nel saggio del 1941 L’esthétique de Bergson, coinvolge Bayer nella determinazione di alcuni caratteri specifici del ritmo, inteso come struttura temporale propria dell’opera d’arte (e in particolare dell’opera musicale), caratteri contrapposti alla natura fluida e indistinta della durée bergsoniana.
Se il ritmo assume in Bayer una funzione teoricamente ampia e complessa, in quanto universale medium dinamico fra le strutture della soggettività estetica e quelle dell’oggettività artistica, esso assume anche un ruolo più specifico e interno per così dire ad una riflessione teorica sulla musica proprio grazie al confronto con Bergson [37].
Non riferendosi ad un singolo aspetto della pratica musicale, ma ricevendo una « generalizzazione tutta interna a quest’ambito » [38], l’estetica del ritmo si oppone quindi alla durata reale di Bergson, permettendo di collegare la riflessione generale sul tempo (che sembra necessariamente implicare) con una prospettiva specificatamente estetica. L’arte, agli occhi di Bayer, contraddice intimamente i caratteri fondamentali della metafisica bergsoniana, in quanto non conduce ad una percezione pura del cambiamento e non permette un contatto immediato e intuitivo con la durata interiore, con i ritmi propri dell’artista (simbolismo simpatetico) o con i ritmi dell’oggetto estetico (alienazione mistica).
Le due proprietà fondamentali del reale bergsoniano, la qualità pura, l’eterogeneità assoluta offerta alla percezione da una parte, e la durata vissuta, intuita dalla riflessione intima dall’altra, presentano quindi caratteristiche opposte rispetto alla qualità estetico-artistica, frutto di una dialettica sensibile del simile e del diverso, e al tempo estetico, che è propriamente il ritmo. Il privilegio del ritmo estetico (e quindi anche musicale) non consiste nella fissazione diretta del tempo intimo dell’artista e neppure nella fissazione mediata di una durata vissuta che l’interpretazione musicale si impegna a « resuscitare » (come vorrebbe la musicologa Brelet [39]), ma piuttosto nell’essere la trasfigurazione simbolica di un’attività energetica interiore, un sentimento catturato sotto la disciplina di una forma.
Il ritmo musicale, a parere di Bayer, presenta un carattere fenomenologicamente percepibile di ricorrenza e periodicità, che gli deriva dall’originaria pulsazione di slancio e riposo : la sua essenza consiste quindi nell’essere discontinuo e vuoto di contro alla radicale pienezza e continuità della durata bergsoniana [40]. La natura del ritmo è duplice e complessa : esso « è un movimento e una cornice, anzi un movimento contro questa cornice » [41].
Il ritmo ha il senso cinematico di un movimento ricostruito che vive di una dialettica contrastata, disposta secondo tagli, découpages, scansioni dei periodi e cadenze. L’ipnotismo del ritmo deriva dalla ripetizione magnetica dei battiti e dalla magia dei ritorni, e non da una fascinazione mistica e immediata che ci conduce a simpatizzare con l’oscurità invisibile dei ritmi interiori : la vita del ritmo non può che manifestarsi tra le costrizioni delle misure stesse, in quanto esso è il ritorno del medesimo (le même) colto sotto il gioco dell’altro (l’autre).
Se la melodia in Bergson sembra ridursi ad un’efficace (benché imperfetta a detta del suo stesso autore [42]) esemplificazione metaforica della continuità intrinseca alla natura del tempo in generale [43], secondo Bayer percepire una melodia non può ridursi alla percezione di un cambiamento ; la percezione di una melodia rappresenta infatti la possibilità di cogliere una totalità in divenire, una forma-che-si-chiude capace di mediare « tra dinamismi dipendenti dalla pura forma temporale e dinamismi che invece dipendono dalla concreta articolazione delle sequenze sonore » [44].
Il ritmo, capace di mediare la polarità tempo/struttura, si avvicina e si incontra così in Bayer con la tematica della forma, intesa come totalità diveniente e organizzata [45], presentando l’opera musicale come un’unità compiuta e definitiva, un oggetto estetico che si costituisce al confine di due durate vissute, quella del creatore e quella dell’ascoltatore.
Il tempo proprio dell’opera è quindi in ultima istanza il suo stile, il ritmo stilizzato che l’oggetto estetico, con i suoi slanci e i suoi arresti, propone e offre alle individualità dei soggetti coinvolti nell’esperienza estetica. Al contrario di ciò che affermerà Gisèle Brelet ne Le temps musical, non è possibile nessuna « resurrezione » o « riproduzione » di una durata vissuta nella durata figurata dell’opera musicale, così come non si verifica nell’atto estetico alcuna iscrizione diretta del tempo intimo dell’artista nel tempo dell’opera, o viceversa, alcuna « infusione » dell’io nella durata delle cose.
La natura polisemantica del ritmo, individuata da Bayer, sembra quindi rappresentare un efficace rovesciamento della nozione bergsoniana di durata, incapace di rendere conto della complessità dei fenomeni artistici, e più specificatamente musicali. D’altra parte Bergson (e sulle sue tracce anche la Brelet), che pure non appare affatto intenzionato nelle sue opere a costruire « un’organizzata teoria dell’arte musicale » [46], opera un’assimilazione comune a una lunga tradizione filosofica secondo la quale la problematica musicale rispecchia da una parte i problemi della temporalità in generale, e dall’altra, in un senso più specifico, la temporalità della vita della coscienza, della quale diventa una persuasiva metafora esplicativa [47].
Di fronte all’inevitabile pericolo di uno schiacciamento del discorso teorico sulla musica da parte della speculazione filosofica, Bayer cerca di concentrare la sua ricerca sulla complessità fenomenologica e semantica di ciò che chiamiamo ritmo, individuando in questa nozione alcuni caratteri estremamente generali e tuttavia decisivi per un’adeguata comprensione dell’intera esperienza estetica, e nello stesso tempo svolgendo una ricca analisi sulle singole opere musicali e sulla loro tradizione storica.
Proprio per questi motivi, crediamo possa risultare utile riassumere i caratteri generali del ritmo, inteso nella sua accezione più vasta, che abbiamo potuto riscontrare nella riflessione di Bayer sulla musica : il ritmo è, a livello della percezione sensibile, il tempo della creatività umana (e non solo della creazione artistica) in quanto, attraverso l’alternanza dello slancio e del riposo, seleziona gli istanti, operando una scelta di valore fra essi, al contrario dell’uniformità priva di scelta della durée ; in secondo luogo, esso, nella concreta attività artistica, è forma e ordine interno di un movimento temporale che tende verso la propria chiusura, di un tempo che si completa, e in questo senso efficace mediazione fra la dimensione temporale della musica e la dimensione strutturale [48].
Il ritmo è anche, con una sfumatura etica tipicamente francese che ritroviamo in Focillon e in G. Brelet [49], e insieme un richiamo al suo senso etimologico, dialettica di libertà e costrizione, flusso e vincolo frenante [50] ; infine, nella perfezione dei capolavori dell’arte, esso è compiutamente stile, « medium » dinamico fra lo spettatore e il creatore, che si costituisce nell’intersoggettività storica di un’epoca e di un gusto collettivo.
Al termine di questa breve analisi del pensiero di Bayer si ripropone, così, quell’assimilazione fra forma e ritmo, fra morfologia dinamica e ritmica generale che avevamo già postulato all’inizio della nostra esposizione in riferimento alla natura dell’estetica in generale, e che vediamo ripresentarsi all’interno della riflessione più specifica sulla musica.
La forma in quanto ritmo è infatti « movimento rappreso, è a un tempo rigida e precaria, immobile e sospesa nel movimento da cui proviene e in cui subito può sciogliersi », mentre il ritmo in quanto forma è l’eterna ripresa di una forma discontinua che si ricostruisce, è quella forma-che-si-chiude insieme plastica e ritmica, immobile nella sua struttura architettonica di rapporti sovratemporali, e fluida nella continuità del suo progressivo disvelarsi.